giovedì

Le lacrime degli azzurri e il valore della crisi


Le lacrime degli azzurri VIDEO

"Abbiamo accusato la fatica, eravamo cotti".

La fatica è stata nominata spesso come principale fattore della disfatta azzurrra nella finale dell'europeo contro la Spagna. Per come è andata la partita e per le dimensioni del risultato si può proprio dire che l'Italia è andata in crisi. Il terzo e il quarto gol sono arrivati con i nostri giocatori che sembravano incapaci di tenere il pallone tra i piedi, gli spagnoli erano ovunque e recuperavano palla subito, hanno fatto gol con estrema facilità, potevano farne altri.

Nello sport la crisi è evidente e repentina, è un crollo verticale, gli avversari ti sopravanzano e tu vai in sofferenza. Il tuo corpo non ne può più, desidera soltanto smettere, smettere di correre, di nuotare, di combattere, di stare in gara, di respirare con affanno, di stare attento. Smettere significa uscire dalle regole della competizione, staccare la spina e recuperare le energie, meglio se sotto una doccia.

Chi fa sport fa sempre fatica e prima o poi incontra una crisi quando la fatica diventa troppa.

Per non andare in crisi basterebbe tener sotto controllo la fatica, abbassare il ritmo se si sta correndo o nuotando, mettersi in difesa in un partita di rugby o di calcio o in un match di boxe, fare qualche cambio di giocatori in una sfida di pallavolo o basket. Ma, come dimostra la finale degli europei, non sempre ci si riesce o non sempre è possibile.

Si va in crisi quando si è deboli, poco allenati, quando gli avversari sono troppo forti ma soprattutto quando si pretende troppo dalle proprie forze. Troppo? Di più del solito. Quando si vuole andare oltre i propri limiti con l'ambizione di migliorare.

A pensarci bene la crisi è tutt'altro che una situazione negativa se la si guarda in faccia: è sofferenza, non c'è dubbio, sofferenza fisica e psicologica, ma è anche l'occasione che ci fa testare i nostri limiti. Vista con questa prospettiva diventa un'occasione per capire qual'è il nostro limite attuale e cercare dei modi per andare oltre.

L'Italia dalla partita con la Spagna impara che non può affrontarla sul terreno del possesso palla se non correndo molto e muovendosi in modo corale. Oppure deve inventarsi altri modi di giocare...

Dalla crisi si impara il valore dell'allenamento, della disciplina dell'allenamento, della preparazione regolare. Difficilmente un ciclista prepara giro d'Italia e tour de France nella stessa stagione (a meno che non faccia ricorso a qualche bomba), un nuotatore non fa gli europei al massimo nella stagione delle Olimpiadi, entrambi pianificano i propri allenamenti in un crescendo che lo porti al massimo della forma nel momento cruciale.

Negli sport di squadra da una crisi si può imparare a cambiare impostazione tattica, a sviluppare nuovi aspetti tecnici, a valorizzare nuovi giocatori, a rafforzare la collaborazione nel gruppo.

C'è da chiedersi se si possa crescere di livello senza affrontare qualche crisi. Penso di no, penso che le sconfitte e le crisi insegnino di più, o almeno quanto le vittorie. L'importante è non voler scappare subito da quel dolore, rimanerci un po' a contatto, digerirlo lentamente, capire che lo si può sopportare e poi riassaporare il gusto di ripartire. Nello sport, in fin dei conti, è più facile che nella vita, la posta in gioco non è così alta, probabilmente è più difficile per i professionisti perché per loro lo sport è la vita. La storia di Pantani mi sembra esemplare.

Un allenatore con uno sguardo educativo la crisi la usa, la condivide con la sua squadra, ne parla, la interroga cercando altri punti di vista. Tra l'altro mi sembra l'unica maniera perché la crisi non diventi un incubo, uno spauracchio per il futuro, oppure, se minimizzata, esploda più virulenta a distanza di tempo.
Qualsiasi riferimento a politici-allenatori di calcio è puramente casuale...

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