“Quello che impari alla
svelta nel rugby è che da solo non vai da nessuna parte. Tra i
ragazzini c’è chi è dotato di velocità e forza fisica e riesce a
far fuori da solo un’intera difesa, lo fa una volta, magari anche
due o tre, poi però gli avversari capiscono come buttarlo giù, lui
inizia a prendere un po’ di colpi e allora per forza deve imparare
a girarsi e a cercare sostegno”.
Il concetto di sostegno fa
brillare gli occhi a P., l’allenatore con cui sto parlando,
entusiasta dello sport anche perché vi ritrova valori della sua
cultura di educatore.
E’
disarmante la semplicità con cui le regole del rugby ti mettono
nelle condizione di dover collaborare, non è soltanto che i tuoi
compagni si arrabbiano se non passi la palla (come in altri sport), è
che gli avversari ti abbattono! Il messaggio di un placcaggio non
lascia dubbi: “di qua non vai più avanti”. Oltre al fatto che
l'impatto si sente, eccome. La cosa interessante è che anche un
placcaggio non blocca l’azione offensiva se c’è qualcuno pronto
a raccogliere la palla e a ripartire.
E poi il
placcaggio lo puoi evitare se passi la palla. Certo ti devi ricordare
di passare la palla all’indietro, il che ti obbliga ad aver
fiducia che dietro di te, primo della squadra ad avanzare (nel
rispetto della regola del fuorigioco “tutti dietro la linea della
palla”), e quindi spesso fuori dal tuo campo visivo, ci sia
qualcuno a cui cedere l’ovale. Altrimenti calci, in avanti, ma se
calci la probabilità di perdere la palla è alta. Nelle giovanili
non è nemmeno concesso (sarà un caso?).
Io cerco i
compagni perché so che non mi lasceranno solo a farmi placcare e a
farmi rubar palla, come farò io nei loro confronti quando
cercheranno di avanzare nella difesa avversaria, perché se ci
aiutiamo ci potranno fermare cento volte ma noi potremo sempre
ripartire. Forse il punto è proprio questo: se c’è sostegno gli
stop non sono definitivi e il placcaggio è soltanto una tappa di un
continuo percorso di avanzamento collettivo. Sa di epopea bellica,
no? (Calcio e rugby, la guerra con la palla)D'altronde la guerra è una grande azione collettiva e
organizzata, peccato che serva ad annientare qualcun altro. Nel rugby
al contrario le regole, e gli allenatori-educatori che le
introducono, fanno sì che lo scontro non sia violento ma
controllato. Controllare la propria forza e la propria aggressività
pur esercitandole (principio comune alle arti marziali), non male
anche questo come spunto educativo anche perché richiede continua
attenzione al corpo, tuo e degli altri. Cosa ne penserà del rugby
Pennac, recente autore di Diario di un corpo?
D’altronde
il rugby, nato nei college inglesi, lo spirito pedagogico se lo
porta dietro da tempo e non a caso ai nostri tempi gli allenatori
delle giovanili si chiamano educatori e nel regolamento per gli under
12 ogni regola è addirittura seguita dall'interpretazione educativa!
Il rinforzo
allo spirito di squadra viene poi confermato da altre fasi del gioco
come la mischia, l’intreccio di braccia e teste che mette le
squadre alla prova del più forte e in cui si deve spingere
contemporaneamente, o la difesa, quando devi chiudere tutti i
corridoi agli avversari sostenendo i compagni, pena la certezza di
uno sfondamento e di una meta subita.
“Alla fine
dell'anno un bambino grande e grosso che per molte partite riusciva a
sfondare da solo e a fare meta, ha iniziato a girarsi, aveva troppi
avversari addosso. A quel punto passando la palla spesso serviva un
compagno che faceva meta e lui a fine partita veniva a dirmi: “Hai
visto quante mete ho fatto fare!” conclude l'intervista P. A 7
anni direi che è una bella conquista.
Dopo una vita passata a giocare a calcio ed il primo figlio iscritto alla scuola calcio del quartiere ho finalmente conosciuto il rugby. il mio secondo (9 anni) gioca a rugby da due anni. Stiamo imparando tutti e due tantissimo.
RispondiEliminacomplimenti per il blog e per questo post meraviglioso
Grazie Federico, condividilo più che puoi!
RispondiEliminaComplimenti! Un ottimo articolo! Bravo!
RispondiEliminaComplimenti. Domani in campo si cercherà di applicarlo....
RispondiEliminaBravo. educare e organizzare le relazioni di un gruppo dà senso alla vita.
RispondiEliminaE' complicato, viste le strutture scolastiche in Italia, ma stiamo e bisogna cercare di portare questo Sport e sopratutto la sua filosofia nelle scuole.... Dalle Primarie! Fulvio......un Papa' e un Animatore...
RispondiEliminaCerto Fulvio, nelle scuole e nelle società sportive, valorizzando gli esempi positivi che ci sono. Quello per esempio che ha fatto all'Aquila, una società di basket con il Pala degli Angeli, è qualcosa di magnifico. Ciao e grazie.
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