Quella del titolo è una domanda eterna, nel senso che molti degli sport moderni sono nati con finalità dichiaratamente educative, unite a quelle di divertimento dei protagonisti. Educare giocando, un principio pedagogico che ha radicamento lontano nel tempo, di sicuro già nell'antica Grecia, e che nell'ultimo secolo e mezzo ha fatto nascere nei college inglesi e americani sport come il rugby, il football, il volley e il basket. E allora la questione diventa: c'è uno sport "che fa crescere meglio i ragazzi, che li educa meglio"?
Iniziamo intanto a dire che cos'è
questo sport che nel nome evoca le enoteche ma che invece richiede grande lucidità e dinamismo. Assomiglia alla palla
mano, perché si gioca con le mani e bisogna centrare una porta. No
assomiglia di più alla pallavolo perché la palla non può mai
toccar terra e non si possono fare più di tre passaggi. In realtà
c'è qualcosa del tennis, dal momento che bisogna mettere in
difficoltà l'avversario, utilizzando il rimbalzo della palla nel
campo, e non si entra mai in contatto lui. Anzi meglio ancora, ci
sono somiglianze con lo squash, dato che è previsto il rimbalzo
contro una superficie (la rete elastica della porta) e non esiste la
territorialità (si può attaccare in una qualunque delle due porte).
Stiamo parlando del
tchoukball, sport introdotto in Italia sul finire degli anni '90 da Chiara Volonté, insegnante di educazione fisica di Saronno (intervistata dal blog), ma
inventato in Svizzera, più di 4o anni fa
(http://it.wikipedia.org/wiki/Tchoukball
; http://www.youtchouk.com/)
dal dottor Brandt, fisioterapista specializzato nel trattamento degli
infortuni di atleti del volley o della pallamano col preciso intento
di limitarne il numero. Evidentemente voleva cambiare mestiere,
probabilmente aveva in mente alcuni obiettivi educativi da
raggiungere.
Ma quali? Perché in questo sport sono così importanti la Carta etica, e i principi del fairplay e del bel gioco, e riescono a tradursi in pratica nel gioco, a differenza di altre discipline sportive? L'assenza di contrasto riduce l'aggressività fisica verso gli avversari? E' probabile, in questo come nella pallavolo, nel tennis e ancora di più nello squash, come detto sopra. In più c'è l'assenza di territorialità, come peraltro nello squash, per cui non c'è un baluardo da difendere a tutti i costi, o meglio, non è sempre lo stesso e a volte diventa quello dell'avversario e anche questo contribuisce a far calare l'aggressività.
Ma quali? Perché in questo sport sono così importanti la Carta etica, e i principi del fairplay e del bel gioco, e riescono a tradursi in pratica nel gioco, a differenza di altre discipline sportive? L'assenza di contrasto riduce l'aggressività fisica verso gli avversari? E' probabile, in questo come nella pallavolo, nel tennis e ancora di più nello squash, come detto sopra. In più c'è l'assenza di territorialità, come peraltro nello squash, per cui non c'è un baluardo da difendere a tutti i costi, o meglio, non è sempre lo stesso e a volte diventa quello dell'avversario e anche questo contribuisce a far calare l'aggressività.
Può bastare? Non
credo...
Eccola qua la sua
peculiarità: due squadre che si muovono liberamente su di un campo
grande come uno da basket, che si sfiorano in continuazione perché
corrono dietro alla palla e verso una porta (una, non si sa quale),
facendo grande attenzione a non ostacolarsi. Quindi grande attenzione
ai corpi degli avversari ma non per bloccarli bensì per evitarli,
sia per evitare il fallo, che per capire dove andranno ad attaccare e
intuire dove andrà a finire il rimbalzo della palla conseguente al
loro tiro. Il principio è: "A me interessa intercettare il tuo
tiro dopo il rimbalzo, non impedirtelo!"
E' uno sport di
attenzione, precisione e tensione nervosa, la mediazione del rimbalzo
contro la rete annulla la conflittualità fisica con l'avversario (le
espulsioni sono in pratica inesistenti) e le occasioni di sofferenza
per gli impatti tra corpi. Ci si tocca poco, ci osserva molto,
soprattutto con la coda dell'occhio e la vista periferica.
La forza educativa del
tchoukball allora non sta tanto nelle sue regole, a mio avviso, ma nel modo in cui sono
state sfruttate le potenzialità di queste regole. Per esempio
l'assenza del contrasto permette di far giocar insieme atleti con
capacità fisiche diverse. Ragion per cui maschi e femmine fanno
sempre squadra mista, la quota rosa è obbligatoria in tutti i
campionati europei (unico sport, che mi risulti), se non hai ragazze in squadra giochi
con uno in meno. Chi ha una disabilità psichica spesso riesce a
giocare insiema a chi non ce l'ha, mentre alcuni tentativi sono stati
fatti per fare partite in cui i disabili fisici (in carrozzina), in
determinati ruoli (a centrocampo), giocano a fianco dei non disabili.
Poi c'è la questione
della CARTA ETICA, che risponde al principio "le attività
motorie sportive non servono per creare campioni ma cittadini
migliori", da cui conseguono corollari come "non si gioca
contro ma si gioca con l'avversario", "il bel gioco
richiama il bel gioco", e pratiche quali l'auto denuncia (come
peraltro in altri sport) di un tocco a proprio discapito, di fronte
alle quali il pubblico acclama il giocatore. L'esempio poi viene
citato da chi allena i ragazzi, soprattutto se l'episodio avviene in
una fase calda della partita.
E infine, come nel rugby, esiste anche nel
tchoukball un tempo, il quarto, in cui si mangia e beve assieme.
Sport di collaborazione e di attenzione, di velocità e di prontezza, ma soprattutto un mondo che è cresciuto attorno a questo sport, cioè federazioni, allenatori, società e famiglie, che hanno valorizzato le potenzialità di questo gioco nella direzione dell'integrazione e del fairplay. Mica male per uno sport da ciuk. Riuscirà a conservarsi così se dovesse diventare un business? Lo scopriremo col tempo, i presupposti ora sono buoni.