venerdì

Pist-doping

Per continuare la riflessione sullo sport guardato segnalo questo post di Igor Salomone e la relativa discussione: E io che c'entro? da Cronache pedagogiche

FUGA DAL TIFO

Bentornati dopo la pausa estiva!
Ci sono alcuni considerazioni sport-educative che ho fatto durante le vacanze che voglio provare a mettere su questi pixel... vediamo se riesco a ricostruire le cose che ho pensato.

Ho seguito a sprazzi, soprattutto quando i bimbi erano a nanna la sera oppure alla radio, le olimpiadi, anche nelle specialità più sconosciute. Le ho seguite principalmente perché tifavo per qualche atleta italiano, ho visto ben poco delle gare in cui non avevamo speranze di medaglia (e comunque la Rai seguiva quasi solo gli azzurri).

Quindi grazie al tifo ho scoperto o riscoperto il taekwondo, la ginnastica ritmica e artistica, la canoa fluviale, la scherma, il tiro a segno e altre discipline ancora. Quando tifi per una squadra o un atleta, non stai molto attento allo sviluppo tecnico del gesto sportivo, soprattutto quando non conosci lo sport, stai attento al fatto che il "tuo" o la "tua" guadagnino punti, prendano voti, avanzino in classifica, speri che vincano o che vadano a medaglie, partecipi alla sua competizione, gareggi con lui, giochi con lei.

Guardare o ascoltare la prestazione sportiva di qualcuno è un gioco, un divertimento, un'emozione. Di per sé non trasmette nulla di valoriale, di positivo o negativo, è più semplice che guardare un film, la storia consiste in qualcuno che vince e qualcuno che perde, finito lì. Ci si può appassionare però all'altalenanza del punteggio, alla rimonta di qualcuno, in alcuni casi alla bellezza di alcuni gesti.

Penso che assistere allo spettacolo sportivo solo come tifosi, quindi con la sola idea di vincere insieme al "proprio" rappresentante, sia alla lunga un'esperienza logorante, anche se si vince spesso. Penso che il tifo debba evolvere, almeno un po', verso il gusto per il bello e sganciarsi un po' dall'esito della competizione. Penso anche che non sia affatto facile, che sia molto più facile e immediato tifare e aggrapparsi all'adrenalina che il rischio di perdere o la gioia di vincere ti può dare. Tifare è faticoso, genera ansie, suscita emozioni simili a quelle del gioco d'azzardo. Il romanzo di Nick Hornby "Febbre a 90' ", che è di fatto il racconto autobiografico della passione dello scrittore per l'Arsenal, rappresenti splendidamente la dipendenza dal tifo per la propria squadra.

Il tifo ci dice qualcosa di uno sport, ci avvicina a uno sport, ci mette in contatto con quel micromondo che quella pratica si porta dietro come cultura? Credo proprio di no, e lo dico consapevole ed esperto delle mie fasi da tifoso, soprattutto in passato ma talvolta anche di questi tempi.
Assistere a uno spettacolo sportivo può lasciarti qualcosa di diverso dalla febbre adrenalinica, penso, soltanto se prendi un po' le distanze dalle vicende della competizione e inizi a cogliere i movimenti collettivi, gli sforzi per migliorarsi o risollevarsi, la generosità, la collaborazione, il fair-play, le tecniche. E' un modo più attivo e più ricco di fare gli spettatori, non necessariamente è più pesante, di sicuro è più rilassante.

Guardare in questo modo alle gare è una cosa che si impara. Non è una cosa così semplice, per cui penso che sia importante anche insegnare questo modo di guardare ai bambini e ai ragazzi, se non altro perché non vedano soltanto la possibilità di tifare e sappiano alternare questi due tipi di sguardi.