mercoledì

Quando il gioco si fa duro, i teneri iniziano a giocare

Ricevo e pubblico questo interessante post di un amico, padre di un bambino "fragile" che in una squadra di calcio ha trovato modo di misurarsi con i suoi limiti e le sue paure, riuscendo a stare in quei limiti anche grazie al sostegno di due allenatori dotati di sensibilità educativa.

Ho due figli, Gherardo (di 7 anni) e Gugliemo (di 5).  Ho deciso di partecipare a questo blog perché sento la necessità di condividere la mia piccola esperienza che sto vivendo da circa un anno con i miei figli attraverso la loro partecipazione ad una scuola di calcio per bambini.
Sono una persona che ha sempre attribuito allo sport un ruolo importante nella propria vita. Pur essendomi sempre rifiutato di sconfinare nell'agonismo, l'ho sempre considerato un ottimo teatro dove crescere e confrontarsi con gli altri ma principalmente con se stessi. Con queste premesse ho caldamente stimolato i miei figli nell'intraprendere attività sportive, possibilmente di gruppo, per crescere giocando e divertendosi.
L'anno scorso Gherardo ha chiesto di essere iscritto in una scuola calcio mosso dal desiderio di seguire alcuni suoi amici. Sinceramente subito non ho accettato la proposta con grande entusiasmo contrariato dalla pessima opinione che ho sul "mondo del calcio" e sulla considerazione che Gherardo, non essendo decisamente portato (come me del resto), potesse incorrere in delusioni agonistiche che avrebbero ulteriormente mirato la sua scarsa autostima e la sua fragilità nel rapportarsi con gli altri.
Gherardo, infatti, è dotato di una grande sensibilità che lo porta spesso a risultare fragile verso situazioni o persone che tendono a imporsi o a prevaricarlo.
Nella rapporto con Guglielmo, che invece presenta una carattere molto più forte e determinato, questa sua insicurezza gli impedisce spesso di ricoprire quel ruolo di fratello maggiore che sarebbe invece naturale avere. Nonostante queste perplessità, e grazie anche alla volontà da parte di mia moglie di assecondarlo, lo abbiamo iscritto e accompagnato attivamente per tutto l'anno seguendo i suoi allenamenti e le sue partite. La scelta si è rivelata un successo. Nonostante siano state ampiamente confermate le scarse doti calcistiche e la difficoltà nel rapportarsi agli altri sul piano agonistico, Gherardo ha vissuto una splendida esperienza di crescita e confronto con i suoi limiti e le sue paure. Il merito non è stato solo di Gherardo, ma è stato anche e soprattutto dei due allenatori che hanno saputo, fin da subito e senza aver ricevuto nessuna informazione da parte nostra, cogliere in lui gli aspetti principali della sua personalità, riuscendo a motivarlo nel modo giusto e a sdrammatizzare le sue difficoltà, potenziandone i pregi.
La riflessione che ho fatto analizzando questo anno, ed è questo il motivo per cui ho deciso di scrivere queste righe, è stata proprio la constatazione di quanto possa essere importante il ruolo educativo di un allenatore. E di quanto sia importante che queste figure abbiano ben presente, soprattutto se si trovano a "lavorare" su bambini o adolescenti, quanto sia importante saper trasmettere oltre agli aspetti tecnici anche aspetti che coinvolgano gli aspetti più intimi e personali della persona. Non mi risulta che i due allenatori abbiano eseguito una preparazione pedagogica o similare. Penso che la loro delicatezza e umanità sia più che altro il frutto di una propensione personale del tutto spontanea e improvvisata (e per questo più preziosa e ammirevole), ma mi piacerebbe che questa attenzione verso l'aspetto pedagogico venga considerato strutturalmente di pari importanza (se non più importante) di quello puramente tecnico e non venga lasciato alla discrezione e sensibilità dei singoli allenatori.
Pietro

Sdrammatizzare le difficoltà e potenziare i pregi, queste sono le competenze che Pietro individua nei due bravi allenatori del suo bambino, capaci di farlo innamorare del calcio e di star dentro nella squadra di coetanei. 
Per sdrammatizzare le difficoltà bisogna essere consapevoli che le difficoltà si possono affrontare poco alla volta, con l'aiuto degli altri, ma soprattutto che le difficoltà sono il proprio mestiere. Se un allenatore non sa far superare le difficoltà al proprio gruppo è un cattivo allenatore, le difficoltà ci sono per chi sbaglia un fondamentale ma anche per chi si vuole migliorare e potenziare i propri pregi. E allora, visto che sono il suo pane quotidiano, è giusto che l'allenatore le sdrammatizzi, per conviverci con più serenità, per farle percepire ai ragazzi come normali, come il normale ostacolo verso la crescita tecnica e agonistica. Sdrammatizzarle per affrontarle, no?

2 commenti:

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  2. http://biviopedagogico.wordpress.com/2012/02/19/lallenatore/

    vi cito e quindi vi linko...

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