“Il
fatto che nella pallavolo non ci sia contatto fisico ti spinge a
cercare altri sistemi per condizionare l’avversario”. Anche
perché lui è costretto ad osservarti!
Paolo
allena squadre giovanili da vent'anni e gioca a volley da quaranta,
sempre a Genova. E' arrivato anche alla serie B, come allenatore, e
comunque è sempre stato a livelli agonistici in cui il risultato era
importante, “anche se non ho mai avuto l'ossessione di vincere”.
Ha studiato filosofia “mettendoci dentro un sacco di esami di
psicologia e pedagogia”, come vedremo dopo probabilmente non è un
caso. La chiacchierata-intervista con lui mi fa scoprire nuovi
aspetti della pallavolo, nonostante non sia la prima volta che
parliamo di questo sport sul blog. Di questo gli sono grato.
Ricezione,
alzata, schiacciata: sono tre i tocchi concessi ad una squadra di
pallavolo. Il fatto è che mentre i giocatori li effettuano gli
avversari sono obbligati ad osservarli, separati da quel muro
invalicabile che è la rete, in attesa del loro attacco. Chi sta in
difesa aspetta, osserva
e si predispone, ma non può intervenire finché l’attacco non è
finito, consapevole che potrebbe anche non entrare in azione se
l’attacco si conclude con la palla per terra.
Non
è finita qui, perché quando la palla è gestita dai propri compagni
si ha a disposizione un solo tocco ma a volte quello non viene
neppure effettuto, visto che in tre tocchi si deve esaurire l'azione
di una squadra composta da sei elementi, e quindi, a parte il
palleggiatore, c'è un'alta probabilità che l'azione non coinvolga
un giocatore.
Insomma
se ti va male il tuo turno non arriva mai e in più ti tocca ammirare
gli avversari nelle loro evoluzioni!
Non
c'è dubbio, la pallavolo ti impone l'attesa,
un momento in cui si cerca di capire le intenzioni dell'avversario
osservando le sue mosse, ma anche di percepire gli spostamenti dei
propri compagni, sapendo
che la propria
disposizione influenza le scelte di attacco dell'avversario. Non ci
si tocca
ma ci si guarda in continuazione, il contatto
è mediato dalla palla e su di essa si sfogano infatti tutte le
energie mentali e fisiche trattenute e accumulate mentre si aspetta.
Sia
ben chiaro, si tratta di attese di pochi secondi, il volley è sport
frenetico. Peraltro anche tutti gli altri sport di squadra prevedono
questa fase per chi sta in difesa o per chi non gestisce la palla. In
nessuno però come nella pallavolo (giusto il tchoukball
vi assomiglia) l'attesa è obbligata, definita e ripetuta. Prima
attacchi tu, poi attacco io, per
mille volte.
Data
la frequenza, altissima, dell'alternanza tra le fasi di attacco e
difesa, consegue che in una partita ci sono innumerevoli momenti di
attesa per entrare in azione, a cui si alternano innumerevoli momenti
in cui si entra in azione, per forza. Insomma nonostante le lunghe
attese non si sta mai tranquilli!
Guardare,
aspettare, intuire, ogni tanto colpire, contatti brevi e solo con la
palla: dire che la pallavolo è fatta di testa e di nervi è dire
poco, siamo al confine con il voyeurismo se vogliamo vederla con
altre categorie!
In
termini educativi, per quanto poi valgano queste considerazioni che
vanno sempre tarate su singoli gruppi, allenatori e società, è uno
sport che stimola molto sul piano dell'autocontrollo e
dell'attenzione, oltre alla più comunemente citata
sollecitazione alla collaborazione e interdipendenza. Mettiamola
così, nel volley si collabora molto controllandosi e osservandosi
molto.
Questo
poi vuol dire, come mi rimarca Paolo, che essendo molto
interdipendenti, se ci sono problemi personali tra compagni emergono
immediatamente. “Succede soprattutto nelle squadre femminili, i
maschi se hanno dei problemi li esternano subito”.
Vogliamo
anche dire, quindi, che la pallavolo aiuti a far uscire i problemi
interpersonali?
Mah,
ci vorrebbero altre conferme, però è un'ipotesi.
Un'ultima
nota: le
somiglianze tra partite di pallavolo e pièce teatrali. A partire
dalle dimensioni del campo-palco, per proseguire con la divisione dei
ruoli nei gruppi, continuando con l'assegnazione delle posizioni (la
turnazione del volley e la distribuzione sul palco) e finendo con
l'importanza fondamentale dello sguardo sui personaggi-giocatori in
scena e sui loro movimenti. Di registi-allenatori ce n'è due, uno
per squadra, mentre il corrispettivo dell'arbitro è probabilmente
il
tecnico di scena.
Il
copione non è scritto, ma vi assomigliano molto gli schemi di
attacco che vengono ripetuti in allenamento e messi in atto in
partita. Il pubblico c'è e partecipa all'evento dando un importante
contributo, applaude o fischia a seconda della bravura degli
interpreti, ma anche, e questa è una differenza, se la propria
squadra vince o perde. Il tifo a teatro non esiste (o quasi).
E'
un parallelo che si può fare con altri sport? E' probabile,
soprattutto con quelli in palestra. Però le attese e le
responsabilità del pallavolista assomigliano molto a quelle
dell'attore teatrale ed entrambi sono ingranaggi fondamentali di una
macchina collettiva in cui ogni pezzo deve essere sempre in funzione,
perché si è tutti in scena!
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