Quanto lo dicono gli allenatori ai propri atleti prima e durante la gara-partita "rimanete concentrati"? In continuazione. Evidentemente quindi, se c'è bisogno di sollecitazioni continue, non è semplice mantenerla, la concentrazione. Di fatto avere un alto livello di attenzione nello sport significa superare tutta una serie di ostacoli che distraggono la nostra mente e ci impediscono di stare nel contesto e di fare i movimenti giusti. Ma concentrato significa centrato sul contesto o centrato su se stesso?
Partiamo dal primo significato ed osserviamolo nella situazione gara.
Il contesto è quello che mette insieme i limiti del campo, le regole del gioco, gli spostamenti della palla, se c'è una palla, i movimenti degli avversari e quelli dei nostri compagni di squadra, se si tratta di uno sport di gruppo, e le indicazioni dell'allenatore. Tanta complessità, tutta da tenere sotto controllo in tempi stretti, ci vorrebbe la super-vista di superman o il senso di ragno di spider-man per fare bene, oppure un processore ultra rapido che elabori i dati e ci indichi la scelta migliore.
In attesa di questi super poteri nei giocatori/atleti, e rigettando le super sostanze, piuttosto che caricare di richieste la mente si può iniziare a ridurre gli elementi di complessità, per esempio riducendo gli stimoli da parte dell'allenatore e dei compagni: un diluvio di raccomandazioni e di indicazioni tattiche e tecniche durante la partita (anche in quella di allenamento) non aiutano certo a star concentrati, se un giocatore non tiene una posizione corretta in campo non è durante la partita che impara a farlo. Si suggerisce una volta, se funziona bene, poi basta. L'intervallo, ma soprattutto il dopo partita, si prestano invece bene per questa attività e l'allenatore necessita della forza e della pazienza per ritagliarsi quei momenti, a gambe calde ma con la testa sgombra, così da concentrarsi entrambi su quei movimenti e poter insegnare e imparare, rendere sicuri i giocatori dei propri mezzi, qualunque essi siano, e quindi anche dei propri limiti, ricevere dei rimandi da parte loro: anche per queste cose ci vuole concentrazione e non solo da parte dell'atleta.
Alla complessità del contesto si aggiungono poi gli ostacoli emotivi alla concentrazione: l'ansia da prestazione e il senso di inadeguatezza, il timore del giudizio di compagni, allenatori e genitori, malumori e incomprensioni pregresse all'interno della squadra, l'aggressività intimidatoria dell'avversario o il suo mancato rispetto delle regole non sanzionato dall'arbitro e infine uno stato di forma precario. Penso serva poco, per rispondere alla domanda iniziale su cosa concentrarsi, fermarsi su questi ostacoli interiori e quindi ripiegarsi su se stessi per tenerli a bada. E' utile piuttosto, sia che si tratti di sport di squadra che individuali, condividere queste difficoltà con il gruppo e cercare in esso sostegno, sdrammatizzandole o trovando conferme/disconferme nei compagni e nell'allenatore. Certo ci vuole un lavoro di costruzione di legami di fiducia fatto a priori, ed ecco che entra in gioco la pratica fatta in allenamento o a fine partita di cui si parlava prima. Il lavoro sulla concentrazione in partita, di fatto, si prepara in allenamento e non è tanto basato sulla preparazione della testa quanto, oltre che sulla preparazione tecnico-atletica, sulla costruzione delle relazioni tra compagni e tra atleti ed allenatore in modo che se qualche ostacolo ad una buona attenzione si affaccia nei "momenti caldi" si sappia di poterne parlare con qualcuno ed in tal modo prenderne le distanze. Sono queste abilità relazionali, a mio avviso e adottando una prospettiva pedagogica, che permettono di acquisire convinzione e forza mentale.
Infine è importante anche il resto del gruppo, quello costituito non solo dagli atleti ma anche da chi li accompagna e da chi li organizza: "stai concentrato" è infatti una raccomandazione da rivolgere prima di tutto agli adulti perché abbiano coscienza del proprio ruolo e anche degli ostacoli da rimuovere perché i ragazzi si concentrino. "Ricordati che sei sugli spalti e quindi fai lo spettatore!".
Per concludere l'ultimo elemento, quello meno visibile, quello che per primo ci dimentichiamo ma che può diventare al contrario il primo alleato: il nostro corpo. Sì perché alla fine tutto questo sforzo di concentrazione-attenzione che la mente dovrebbe fare per stare sul pezzo, il corpo lo fa in automatico, perché ha memoria delle movenze più efficaci, meno dispendiose e più semplici da mettere in pratica e le applica in modo istintivo. Sul campo, in pista o in acqua durante una gara, la mente deve mettersi al servizio del corpo, o dei corpi se si tratta di una squadra, e lasciare il più possibile spazio all'istinto e alla naturalezza dei movimenti perché sono quelli più efficienti. (vd La corsa primitiva è la più efficiente).
Ci sono vari racconti di campioni dello sport, il grande Pele' su tutti, che parlano dello stato di trance in cui venivano a trovarsi durante una partita e del loro muoversi perdendo contatto da tutto ciò che non fosse il setting sportivo, vale a dire quella rete di regole, persone e movimenti che nominavo all'inizio, ma con estrema naturalezza, istintivita', fisicità, tanto da diventare un tutt'uno con il campo, la palla e gli altri compagni/avversari. Di "peak experience", esperienze apicali, scrive splendide pagine Giovanni Boniolo in Le regole e il sudore nonché il sito www.bodythinking.com. In quella penso si trovi la vetta della concentrazione e guarda caso coincide quasi con il perdere coscienza di sé.
Gruppo e corpo come mattoni della concentrazione. E per garantire questi elementi fondamentali un continuo lavoro su vari livelli, dagli atleti, agli allenatori e a tutto il contorno. Sembra un paradosso che per divertirsi ci si debba impegnare così tanto eppure mai come in questi casi valgono le massime "per educare un bambino ci vuole un intero villaggio" e "per essere veramente maestro la tecnica va separata così che l'appreso diventi "un'arte inappresa" e sorga dall'inconscio".